“Un caffè lento, grazie.”

È strano che abbia scritto queste parole mesi fa, in pieno lockdown, per partecipare all’iniziativa #domanitiscrivo e ora senta esattamente quella sensazione lì.


Mi avvicino al bancone del bar, il solito bar sotto l’ufficio. Da qualche tempo è tornato il caos di sempre e intercettare il barista è complicato. Ho i minuti contati, un po’ mi innervosisco. Le persone attorno a me sgomitano, senza lasciare la giusta distanza, quella che sappiamo essere la più adeguata in tempi di pandemia. “Ma non abbiamo imparato niente?” penso tra me e me. Poi di colpo mi rimetto a pensare alla vita che abbiamo vissuto per settimane, in quella lunga quarantena. E mi sembra tutto così lontano.

“Mi dica!” Il barista si rivolge a me, mentre io sono distratta da quel viavai denso di persone e dai miei pensieri.
“Signorina, mi dica?” mi ripete.
“Un caffè lento!” dico.
“Lungo?” mi chiede lui.
“Si, lungo, mi scusi” dico io, fingendo di essere stata sbadata.

Ma in realtà è proprio “lento” che lo vorrei. Come quello che ho imparato a bere in quarantena, a casa, sul mio terrazzo, anche nelle giornate di vento, con ancora addosso il pigiama e la vestaglia. Lento, come il tempo che certi giorni sembrava non passare. Lento come i miei risvegli, come le azioni non pianificate. Lenta, come io stessa pensavo di non essere, da quando Milano mi ha insegnato che correre significa sopravvivere. Almeno così ero convinta. Prima. In quel nostro mondo dove ‘il fare’ sembra prevalere ‘sul pensare’.

La quarantena ci ha fatto invece intraprendere un viaggio alla scoperta della lentezza ai vari livelli delle nostre vite. Inizialmente non è stato facile, perché non ci appartiene, siamo abituati a stare in continuo movimento, ma una volta intrapreso questo nuovo ritmo, è difficile da abbandonare. Ho imparato molte cose “in quel tempo lì”: su di me, sulle persone che mi circondano, sul cielo che cambia così tante sfumature di colore. Ho capito quanto poco tempo dedichi a quello che davvero mi va di fare, alle mie passioni. Ho capito che realizzazione personale non è solo aver un contratto a tempo indeterminato, ma ha anche a che vedere con tutto quello che teniamo fuori dalla nostra vita, mentre lasciamo che il lavoro diventi un ‘ingombro’ a cui tutto è concesso.

Perchè il tempo non è mai abbastanza.

“Quando ho tempo lo faccio.
Appena ho un attimo ci sentiamo.
Se riesco vengo.

Scusami, sono stata impegnata.
Se la mia vita non fosse così piena lo farei.
Beato te che trovi il tempo!”

Le ho dette mille volte quelle cose lì e son sicura che le hai dette pure tu. Il tempo non mi basta mai. Mi sfugge. Certe giornate, nella mia vita di sempre, sembrano così piene, eppure così vuote. In quarantena invece, in quella “ritrovata lentezza”  ho sentito la mia vita più leggera e dopo qualche settimana, in casa, nei miei spazi, quelli che mi sono ritagliata, non mi son sentita più in gabbia. Probabilmente lo ero prima, “ieri”, prima di tutto questo, quando mi sentivo travolta dal mio tempo. E ora, mentre gusto il mio caffè e mi perdo tra i miei pensieri da ex smarworker a tempo pieno (malinconica), e mi rendo conto che fra due minuti esatti dovrei essere alla mia scrivania e ho l’istinto di correre per arrivare in orario, mi rendo conto che sta succedendo ancora.

Pubblicato da

Trentenne, comunicatrice di natura, scrittrice per hobby e amante del mare. Una sarda con il sole negli occhi.

3 pensieri riguardo ““Un caffè lento, grazie.”

  1. In effetti tornare ai ritmi frenetici di prima è stressante. Era bello stare col portatile in giardino lavorando col canto degli uccelli in sottofondo 😂

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