In aeroporto il solito brulicare di persone un poco mi infastidisce. Un tempo nel prendere l’aereo ci vedevo qualcosa di poetico, ora mi sembra tutta una fatica. Trascina la valigia di qua, fai la fila di la, sali, scendi e cammina senza guardarti troppo attorno, tanto qui le persone sembrano tutte uguali. Sarà che non sono più la ventenne entusiasta del mondo di qualche anno fa e che gli anni iniziano a passare anche per me e questo viavai dal vecchio stivale alla Sardegna e viceversa mi iniziava a stancare. I miei ritorni ultimamente erano diventati meno frequenti e le persone che trovavo al mio arrivo diminuivano ogni anno di più. Il paese però era sempre lo stesso, tornarci mi faceva di colpo riammorbidire quei miei lati che si erano inaspriti col tempo. Io non ero più la stessa, questo però era chiaro a pochi, a molti faceva comodo credere che ancora lo fossi. Ma che importanza aveva? Li in quel mio angolo di pace non avevo voglia di dare spiegazioni, solo respirare profondamente e lasciar scivolare il mio sguardo verso il mare, dove le parole non mi servivano più.
Così eccomi in partenza verso quel piccolo borgo che mi aveva vista crescere. Mentre le mie colleghe prenotavano voli per mete sconosciute io avevo preferito “il solito”, come si dice al bar! Tornavo a casa per passare un pò di tempo con la mia famiglia, per rilassarmi e respirare quell’aria inconfondibile dai profumi variegati e insostituibili. Non avevo ancora smesso di chiamarla casa la ma terra, non credo che lo farò mai, anche se gli anni lontano dalla Sardegna iniziavano a diventare tanti e altre città in qualche modo mi avevano conquistato o erano riuscite a farmi sentire quasi a casa.
Sono al gate, mi siedo e inizio l’ennesima attesa, mi maledico sempre per il fatto di arrivare troppo in anticipo. E allora mi immergo nel mio libro: rileggo per l’ennesima volta “Canne al vento” di Grazia Deledda, lo faccio ogni volta che mi sento in balia degli eventi e mi convinto che è così che bisogna fare: lasciarsi qualche volta piegare, mai spezzare. “Siamo proprio come canne al vento, noi siamo canne e la sorte è il vento.” Dove volesse portarmi stavolta la sorte proprio non lo sapevo. Ma come sempre, da quando la prima volta avevo messo piede fuori casa e avevo deciso di prendere il largo, mi sentivo fiduciosa: in qualche modo tutto si sarebbe risolto, avrebbe preso la giusta piega. Ora che ci penso me l’ha trasmessa mia madre questa concezione della vita e io, inconsapevolmente ci avevo costruito tutte le mie certezze. Tutto si sistema. “In camminu s’acconza barriu” diceva nonna, come a dire che in fondo il segreto sta nel mettersi in cammino e poi pian piano le cose si aggiustano.
Un’ultima fila per salire sull’aereo e finalmente raggiungo il mio posto, mi siedo e mi preparo a disconnettermi dal mondo: la cosa che mi viene meglio in assoluto! Ma qualcosa nei sedili di fianco a me sembra stia per accadere…
Un ragazzo leggermente brizzolato si ferma, guarda la ragazza che sta seduta vicino al finestrino e sembra voglia attirare la sua attenzione:“Mi scusi, questa è la corsia n. 13?”
-“Si, prego” risponde lei senza neanche guardarlo in faccia. Lo scruta solo con la coda dell’occhio ma ho come la sensazione che sappia perfettamente di chi si tratti. Lui si siede nel sedile vicino al corridoio e nonostante quello spazio vuoto tra di loro, la nuova presenza sembra accarezzare e allo stesso tempo disturbare la ragazza .
-“Ci conosciamo, o sbaglio ?” incalza lui.
-“Non me lo ricordo, probabilmente l’ho rimosso” continua lei, senza mai girare il volto.
-“Come stai?”
-“Bene grazie.” E nel frattempo quella cintura sembra quasi imprigionarla in una conversazione che non vorrebbe fare.
Che abitudinari però: lei al finestrino pronta a voltare gli occhi al cielo per continuare a sognare, lui vicino al corridoio, come pronto a scappare. Erano entrambe vie di fuga in fondo. Quella di lui concreta, quella di lei figurata. Su una cosa erano certamente uguali: ad entrambi la realtà non piaceva e qualche volta avevano pensato di poterla cambiare, solo che poi alla fine non ci erano riusciti.
-“Io non sto bene invece…”
Ha sempre avuto questa mania di attirare l’attenzione su di lui, di dire e non dire. E di inventare soprattutto. Questa frase l’avrà sentita decine di volte Elena e altrettante volte ci aveva creduto. Ma oggi sembra non essere stupita, per un attimo lo scruta meglio, senza farsi notare: “Mi sembri informa!” gli risponde.
-“Non è di questo che parlo, ma so che non ti interessa. Anzi, scusa, se vuoi chiedo di cambiare posto. Basta che me lo dici!”.
Eccolo, come non riconoscere la voce del suo finto orgoglio ferito o la sua solita tattica per farti fare esattamente quel che vuole lui! Per mettere tutto nelle tue mani. Poi dicono che le persone cambino! Paolo lo sa che infondo lei non lo farebbe mai, eppure Elena non ci pensa due volte: “Fai come credi!” senza mai voltarsi. Non è in quegli occhi che vuole ricadere ancora, soprattutto in questa casualità aerea che avrebbe voluto evitare.
-“Siamo pronti al decollo. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza” annuncia la hostess.
E’ tardi, questo tassello non si può cambiare, il destino è già scritto. Un uomo e una donna vicini, ma separati da quel posto vuoto tra di loro come metafora di una vita intera. Paolo non c’era mai riuscito davvero ad avvicinarsi a lei, preferiva così, viaggiare sicuro sulla sua poltrona, giocando a tormentarla con quella sua presenza scostante. Una volta aveva provato a farlo lei quel passaggio, e quasi a metterlo alla prova, si era fatta vicina, in quel posto accanto al suo. All’inizio sembrava esserne felice, ma alla fine la via di fuga gli era sembrata più allettante. Paolo era fuggito, come era bravo a fare e lei l’aveva lasciato andare, senza fermarlo o rincorrerlo. E stanca della sua scostanza gli aveva chiuso tutte le porte di accesso a quel posto accanto al suo, perché sapeva che prima o poi ci avrebbe ripesato e con qualche strana casualità-non casuale sarebbe tornato a tormentare la sua esistenza. Così da quel giorno Elena non si era più guardata alle spalle, né di fianco. Non aveva più cercato quella presenza a distanza di sicurezza. Non si era più curata di come fosse finita quella fuga, anche perché, se lui ci avesse ripensato, se l’era giurato, non si sarebbe fatta trovare.
– “Dimmi la verità, come stai? Tanto lo sai che a me non sei mai riuscita a dirmi bugie…”
– “In compenso a te è sempre riuscito bene…” Sembra che l’aria diventi pesante e in alta quota è ancora più percettibile.
–“Lo so che in fondo non mi odi! Hai avuto sicuramente tante possibilità per farmela pagare, ma non l’hai fatto! Sono stato davvero uno….”
Elena lo guarda per la prima volta da quando quel volo e decollato, dritto negli occhi, senza paura. Senza tentennamenti. Il suo sguardo è di ghiaccio. Lui blocca la sua frase a mezz’aria e si ricorda di colpo le sensazioni che uno sguardo solo sa trasmettere. Si ricorda quanto quella ragazza sappia mandarlo in totale tilt anche senza dire una parola.
– “Questo non è il tuo posto. Non lo è mai stato.” dice lei, senza scomporsi troppo o arrabbiarsi. Mantiene la calma e non discosta il suo sguardo neanche per un secondo. “Non ho voglia di parlare con te, credo sia chiaro. Ho sprecato così tante parole per anni che ora non me ne viene neanche una. Sai, se ti fossi seduto proprio qui, di fianco a me, avrei creduto alla tua buona fede, forse sbagliando un’altra volta. Ma hai preferito mantenere la distanza di sicurezza, come ti ha sempre fatto comodo.”
– “Ma io ti ho sempre portata nel cuore, tu lo sai… Non volevo farti del male! E ora rivedendoti provo ancora qualcosa. Ti giuro che sono sincero, come non lo sono mai stato nella mia vita..”
-“Sei andato via, hai fatto una scelta. Potevi prenderne un’altra ma hai preso quella, per questo non pentirti mai delle tue scelte! Probabilmente ti ho amato davvero, per fortuna l’ho dimenticato. Ah, a proposito, la puoi rimettere la fede. Non so quale fosse il tuo tentativo, ma se questo è essere sinceri, forse non ti basterà un’altra vita per diventarlo! Vai a raccontarle a lei quelle cose che volevi dire a me, se ti ha sposato son sicura che almeno lei ci crede!”
Accade sempre così, una persona che si somiglia ad un’altra, una voce che ti ricorda qualcuno, la tua voglia di storie da raccontare, il desiderio di cambiare gli eventi e poi l’atterraggio dell’aereo che ti riporta alla realtà. E pensare che tutto è iniziato con un semplice:“Mi scusi, questa è la corsia n. 13?”
Visionaria ❤